La grande paura : dopo il 7 ottobre

Questo di Antonino D’Anna è un lavoro necessario, e lo rin-grazio ancora per il fatto che gran parte di esso si sia svi-luppato su Radio Libertà. Quando dico “necessario” vi pre-gherei di abbandonare qualunque retropensiero meramente promozionale, a costo di considerare questa mia una nota a margine, più che una prefazione. “Necessario”, qui, s’intende proprio corrispondente a una necessità storica, oltre che quotidiana. O almeno, a qualcosa avvertito come una necessità da chiunque non sia ancora disposto a rinunciare a quella quisquilia trisillabica che ci connota in quanto occidentali: li-ber-tà. Non è il caso di scomodare Ugo La Malfa, o for-se sì, nell’era in cui maître à penser sono diventati Ghali o, nella migliore della ipotesi, Fiorella Mannoia: “La libertà dell’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”. La sentenza (che poi in realtà è una pura presa d’atto valoriale) lamalfiana vale a maggior ragione oggi, a maggior ragione dopo il 7 ottobre.

Sarà il caso di ricordare in sintesi cosa è stato il 7 ottobre (lo scavo dei molteplici significati dell’orrore è uno dei tanti meriti delle pagine che seguono), visto che sulla data male-detta è andato in scena un colossale tentativo di rimozione, se non di riscrittura (nell’anniversario della mattanza sono state seriamente convocate adunate di piazza in nome della “resistenza palestinese”). Il 7 ottobre è, né più né meno, la certificazione che Eric Hobsbawm aveva torto, che Francis Fukuyama aveva torto. Il Novecento non era un secolo bre-ve, anzi si sta divorando quest’esordio di millennio. La Sto-ria non era finita, anzi sta andando rapidamente incontro a un’altra delle sue convulsioni terribili. E tra i molti segnali ce n’è uno purtroppo infallibile: l’antisemitismo omicida. Sì, perché il 7 ottobre è il ritorno prepotente nelle vicende uma-ne della pratica del pogrom, ovvero della caccia, della sevi-zia, dello sgozzamento, dell’esecuzione, dell’annichilimento dell’ebreo in quanto ebreo. Chi manca questa soglia, minima ma decisiva, di comprensione, può perfino credere in buo-na fede (rari casi) che il Medio Oriente si sia (di nuovo) insanguinato per dispute che hanno a che fare con la terra, gli insediamenti, le entità statuali o aspiranti tali. Smottamenti superficiali della cronaca, la faglia di rottura storica che si sta (di nuovo) spalancando ha a che fare con lo scontro delle civiltà. Non è un’illazione di Antonino o del sottoscritto, è quel che ci dicono tutti i tagliagole antisemiti su su fino al tagliagole in capo, la Guida Suprema della Repubblica Islamica dell’Iran, ayatollah Khamenei. Tutti costoro odiano l’ebreo (e vogliono cancellare “l’entità sionista” dalla carta geogra-fica) perché infedele, perché laico, perché appartiene a una democrazia liberale, perché pratica il pluralismo valoriale e religioso, perché non traduce il diritto nella sharia, perché non ingabbia le proprie donne nel velo, perché permette la libera persecuzione individuale degli stili di vita, perché è un’anomalia blasfema rispetto a quasi tutto ciò che lo cir-conda. Odiano l’ebreo, e lo combattono, anche e soprattut-to perché è specchio dell’occidentale. Mio, di Antonino, di chi legge, perfino di chi va in piazza sventolando la bandiera arcobaleno e berciando “Palestina libera!”, ignorando che i galantuomini di Hamas coltivano un personale approccio ai membri della comunità Lgbt: li scaraventano dai tetti. Siamo anche noi in ballo, sul terreno mediorientale, ci sono anche il nostro mondo e le nostre vite in gioco, per ora schermate da quelle dei soldati israeliani (su questo fondamentale pun-to consiglio in particolare le conversazioni con Anna Cinzia Bonfrisco e Magdi Cristiano Allam).

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